Mentre il 2025 volge al termine, gli Stati Uniti si trovano intrappolati in una stagflazione moderata che ha ridefinito il panorama economico nazionale. L'anno che doveva segnare il consolidamento della ripresa post-pandemica si è invece trasformato in un periodo di crescita stagnante accompagnata da un'inflazione persistentemente elevata, creando sfide inedite per policymaker e cittadini.
Il fallimento dei negoziati commerciali del 1° agosto ha rappresentato il punto di non ritorno. L'Amministrazione Trump, cedendo alle pressioni delle industrie nazionali e della propria base elettorale, ha implementato un'escalation tariffaria senza precedenti: le tariffe sulla Cina sono schizzate al 30%, mentre Canada, Messico e Unione Europea hanno dovuto affrontare aumenti al 25% su settori strategici. Questa decisione, inizialmente presentata come una mossa negoziale, si è rapidamente trasformata in una guerra commerciale su larga scala quando i partner hanno risposto con ritorsioni immediate.
L'impatto sull'economia americana è stato devastante e immediato. L'inflazione core ha raggiunto il 3.5% entro dicembre, ben oltre l'obiettivo del 2% della Federal Reserve, mentre i costi delle importazioni hanno colpito duramente sia le imprese che i consumatori. I settori manifatturieri, particolarmente dipendenti da componenti importati, hanno visto la produzione industriale contrarsi del 2.8% su base annua, con migliaia di aziende costrette a ridimensionare le operazioni o chiudere definitivamente.
Jerome Powell e il Federal Open Market Committee si sono trovati di fronte a un dilemma di politica monetaria senza precedenti. Con l'inflazione che galoppava verso il 3.6% a novembre e le aspettative inflazionistiche dei consumatori che salivano al 4.2% secondo l'indice Michigan, la Fed ha dovuto abbandonare i piani di tagli dei tassi. Il 25 novembre, la Fed ha aumentato i tassi di 25 punti base, portandoli al 4.5-4.75%, la prima stretta monetaria dal 2024.
Questa decisione, seppur necessaria per mantenere la credibilità dell'istituzione, ha ulteriormente depresso una crescita già fragile. Il PIL ha registrato una crescita annuale di appena l'1.0%, con il quarto trimestre che ha mostrato una preoccupante contrazione dello 0.1% su base trimestrale. La Fed si è trovata nella posizione paradossale di dover combattere l'inflazione mentre l'economia scivolava verso la stagnazione.
Uno degli aspetti più preoccupanti di questo scenario è stata l'emergere di una spirale salari-prezzi che ha alimentato ulteriormente le pressioni inflazionistiche. A ottobre, i principali sindacati americani hanno negoziato aumenti salariali del 4-5% per compensare l'erosione del potere d'acquisto causata dall'inflazione elevata. Questi aumenti, seppur comprensibili dal punto di vista sociale, hanno creato ulteriori pressioni sui costi di produzione delle imprese, alimentando un circolo vizioso.
Il mercato del lavoro ha mostrato i primi segni di deterioramento con la disoccupazione che è salita al 5.4% a dicembre, rispetto al 4.1% di inizio anno. Particolarmente colpiti sono stati i settori manifatturieri e dei servizi legati al commercio internazionale, dove le chiusure di stabilimenti e i licenziamenti sono diventati una realtà quotidiana in molte comunità industriali del Midwest.
I mercati finanziari hanno reagito con crescente nervosismo all'evolversi della situazione. I rendimenti del Treasury a 10 anni hanno superato il 5.2% a dicembre, riflettendo sia le aspettative di inflazione elevata che i timori per la sostenibilità fiscale. Questo aumento dei costi di finanziamento ha costretto il Congresso ad approvare, il 1° novembre, un controverso pacchetto di austerità che ha tagliato la spesa pubblica del 2% per stabilizzare i mercati obbligazionari.
Le misure di austerità, seppur necessarie per mantenere la fiducia degli investitori, hanno ulteriormente depresso la domanda aggregata. I tagli ai programmi di investimento pubblico e la riduzione dei trasferimenti sociali hanno colpito particolarmente le fasce più vulnerabili della popolazione, già provate dall'inflazione elevata.
L'economia americana ha mostrato una frammentazione settoriale e regionale senza precedenti. I settori ad alta intensità di importazioni, come l'automotive e l'elettronica, hanno subito contrazioni significative, mentre alcune industrie protette dalle tariffe hanno paradossalmente beneficiato della situazione. Questa ristrutturazione forzata dell'economia ha creato vincitori e perdenti chiaramente definiti, alimentando tensioni politiche e sociali.
Le regioni del Midwest industriale hanno pagato il prezzo più alto, con tassi di disoccupazione locali che hanno superato il 7% in alcune aree. Al contrario, alcune regioni del Sud e dell'Ovest, meno dipendenti dal commercio internazionale, hanno mostrato una maggiore resilienza, creando disparità regionali crescenti.
La guerra commerciale ha avuto ripercussioni che vanno ben oltre l'economia domestica. I partner commerciali tradizionali degli Stati Uniti hanno accelerato la diversificazione delle loro relazioni economiche, riducendo la dipendenza dal mercato americano. La Cina ha rafforzato i legami con l'Europa e l'Asia, mentre l'Unione Europea ha intensificato gli accordi commerciali con altri blocchi regionali.
Questa frammentazione del sistema commerciale globale ha ridotto l'influenza economica americana a livello internazionale, con conseguenze strategiche che si estenderanno ben oltre il 2025. Il dollaro, seppur ancora dominante, ha mostrato segni di debolezza strutturale, perdendo terreno come valuta di riserva in alcune transazioni regionali.
Mentre il 2025 si conclude, l'economia americana sembra aver raggiunto un nuovo equilibrio subottimale caratterizzato da bassa crescita e alta inflazione. L'Amministrazione Trump ha iniziato a segnalare una possibile moderazione delle politiche tariffarie per il 2026, riconoscendo implicitamente i costi economici dell'approccio protezionistico.
La Federal Reserve mantiene una posizione hawkish ma ha comunicato che monitorerà attentamente l'evolversi della situazione economica. I mercati, dopo mesi di volatilità estrema, sembrano aver prezzato questo nuovo scenario, stabilizzandosi su livelli che riflettono aspettative di crescita modesta e inflazione persistente.
L'America del 31 dicembre 2025 è un paese economicamente più fragile e socialmente più diviso rispetto a un anno fa. La stagflazione moderata ha eroso il potere d'acquisto delle famiglie, ridotto la competitività delle imprese e limitato le opzioni di politica economica. Tuttavia, la resilienza del sistema economico americano e la graduale presa di coscienza dei costi delle politiche protezionistiche lasciano intravedere la possibilità di un aggiustamento nel 2026, seppur in un contesto internazionale profondamente mutato.