Teheran, 31 dicembre 2025 - Ore 23:45
Mentre i fuochi d'artificio illuminano sporadicamente il cielo di Teheran in questa notte di San Silvestro, la capitale iraniana presenta il volto di un paese che ha attraversato uno dei periodi più turbolenti della sua storia recente. Dopo diciotto mesi di crisi profonda, l'Iran di fine 2025 è una nazione trasformata, segnata da un equilibrio precario che il regime è riuscito a mantenere attraverso una strategia di sopravvivenza tanto audace quanto rischiosa.
L'estate del 2025 aveva portato l'Iran sull'orlo del baratro. Le proteste di giugno, scatenate da una nuova ondata di aumenti dei prezzi dei beni essenziali, avevano raggiunto un'intensità senza precedenti dalla rivoluzione del 1979. Per settimane, le strade di Teheran, Isfahan, Shiraz e Tabriz erano state teatro di manifestazioni che coinvolgevano centinaia di migliaia di persone, con slogan che chiedevano apertamente la caduta del regime.
La risposta della Guida Suprema Ali Khamenei era arrivata il 15 luglio con il lancio del "Programma di Stabilizzazione Sociale", una mossa che aveva colto di sorpresa molti osservatori. Invece di rispondere esclusivamente con la repressione, il regime aveva introdotto sussidi mirati per pensionati e famiglie a basso reddito, programmi di lavoro pubblico per i giovani disoccupati e una serie di misure economiche d'emergenza. "Non lasceremo che il nostro popolo soffra mentre i nemici della nazione complottano", aveva dichiarato Khamenei in un discorso televisivo che aveva segnato una svolta nella strategia del regime.
Parallelamente alle concessioni economiche, l'Iran aveva implementato quella che gli analisti definiscono una "repressione selettiva" di straordinaria efficacia. Invece di ricorrere alla violenza di massa, le forze di sicurezza si erano concentrate sui leader dell'opposizione con una precisione chirurgica. L'operazione più significativa era avvenuta nella notte del 12 ottobre, quando oltre 200 leader dell'opposizione erano stati arrestati simultaneamente in tutto il paese in un'operazione coordinata che aveva decapitato la leadership delle proteste.
"Hanno colpito esattamente dove dovevano colpire", racconta un ex-attivista che ha preferito rimanere anonimo. "Non hanno arrestato migliaia di persone a caso come in passato, ma hanno identificato e neutralizzato chi davvero organizzava le manifestazioni. È stato devastante per il movimento di protesta."
Mentre all'interno consolidava il controllo, l'Iran aveva avviato una complessa partita diplomatica su più fronti. L'accordo commerciale segreto siglato il 30 agosto con la Russia aveva rappresentato una svolta cruciale. Attraverso un sistema di baratto che aggira le sanzioni occidentali, l'Iran aveva iniziato a esportare petrolio in cambio di tecnologie, grano e beni industriali russi. L'asse Iran-Russia si era così rafforzato oltre ogni aspettativa, con Mosca che forniva non solo sostegno economico ma anche copertura diplomatica nelle sedi internazionali.
Ancora più sorprendente era stata l'apertura di canali diplomatici con il Qatar, culminata il 1° dicembre con l'avvio di una mediazione qatariota per un dialogo Iran-USA su questioni umanitarie. Sebbene i negoziati fossero ancora in fase embrionale, rappresentavano il primo tentativo di dialogo diretto tra Teheran e Washington dopo anni di confronto totale.
Il vero test per la strategia del regime era arrivato con il Nowruz del marzo 2026. Il capodanno persiano aveva rappresentato il momento della verità per valutare l'efficacia delle riforme economiche. I dati, seppur parziali e contestati, mostravano segnali contrastanti: l'inflazione era scesa dal picco del 60% di giugno al 35% di marzo, ma rimaneva comunque a livelli insostenibili per la maggior parte della popolazione. La disoccupazione giovanile, pur rimanendo oltre il 25%, aveva mostrato i primi segni di stabilizzazione grazie ai programmi di lavoro pubblico.
"Le riforme hanno dato un po' di respiro, ma non hanno risolto i problemi strutturali", spiega un economista di Teheran che ha chiesto l'anonimato. "La gente ha smesso di protestare non perché sta meglio, ma perché ha capito che il regime è disposto sia a dare qualcosa sia a reprimere duramente chi si oppone."
A fine 2025, l'Iran presenta il paradosso di un regime che ha dimostrato una capacità di adattamento superiore alle aspettative, ma al prezzo di trasformazioni profonde nella natura stessa del sistema. Il controllo sociale si è fatto più sofisticato: la sorveglianza digitale è stata potenziata con tecnologie fornite dalla Cina, mentre le forze di sicurezza hanno adottato tattiche di controllo più mirate e meno visibili.
Le proteste non sono scomparse, ma si sono trasformate. Invece delle grandi manifestazioni di piazza, la resistenza si è frammentata in forme più sottili: scioperi settoriali, boicottaggi economici, atti di disobbedienza civile. "È come un fuoco che cova sotto la cenere", osserva un giornalista locale. "Non si vede più, ma non si è spento."
La strategia di sopravvivenza del regime ha comportato costi enormi. La dipendenza da Russia e Cina è aumentata drammaticamente: oltre il 70% del commercio estero iraniano passa ora attraverso questi due paesi, rispetto al 40% di inizio 2025. Questa dipendenza ha ridotto significativamente l'autonomia decisionale di Teheran, che si trova sempre più vincolata agli interessi geopolitici dei suoi protettori.
Sul fronte interno, il regime ha dovuto aumentare la spesa per la sicurezza del 40%, sottraendo risorse già scarse agli investimenti produttivi. Il sistema economico funziona ora a livelli di sussistenza, con una classe media sempre più impoverita e una popolazione che sopravvive grazie ai sussidi statali e all'economia informale.
Nonostante l'apparente stabilizzazione, il sistema presenta fratture profonde che potrebbero rivelarsi decisive nel futuro. All'interno delle élite del regime, le tensioni tra pragmatici e hardliner sono aumentate. Il Presidente, sostenitore di maggiori aperture economiche, si trova spesso in conflitto con l'IRGC, che spinge per una linea più dura. Khamenei mantiene l'equilibrio tra le fazioni, ma la sua età avanzata rende incerta la sostenibilità di questo delicato bilanciamento.
"Il regime è sopravvissuto, ma è profondamente cambiato", analizza un ex-diplomatico iraniano in esilio. "È diventato più repressivo ma anche più pragmatico, più isolato internazionalmente ma più dipendente dai suoi alleati. È un equilibrio che può reggere nel breve termine, ma che contiene i semi della sua stessa instabilità."
Mentre il 2025 volge al termine, l'Iran si prepara ad affrontare nuove sfide. Le tensioni regionali con Israele rimangono elevate, con il programma nucleare iraniano che continua a procedere lentamente ma costantemente. Le sanzioni occidentali, pur aggirate parzialmente, continuano a mordere, mentre la popolazione, seppur più quieta, rimane profondamente insoddisfatta.
Il regime ha dimostrato di saper sopravvivere attraverso l'adattamento, ma il prezzo pagato è stato altissimo. L'Iran di fine 2025 è un paese che ha evitato il collasso immediato, ma che vive in un equilibrio precario che richiede costante manutenzione. Come i fuochi d'artificio che illuminano sporadicamente il cielo di Teheran in questa notte di San Silvestro, la stabilità del regime appare intermittente e fragile, destinata a essere messa alla prova dai venti del cambiamento che continuano a soffiare sulla regione.
La vera domanda, mentre l'Iran entra nel 2026, non è se il regime sia sopravvissuto alla crisi del 2025, ma se l'equilibrio precario che ha costruito potrà resistere alle tempeste che l'attendono nel futuro prossimo.